Luciano Scandariato

Ho un aspetto particolare che spesso crea distanza tra me e gli altri. Per anni sono rimasto chiuso in casa e avevo solo quei pochi amici capaci di andare oltre l’apparenza. Esattamente come Loretta Claiborne ho dovuto faticare non poco per arrivare a sentirmi parte di questo mondo e non un alieno. Non uscivo mai di casa se non per andare a fare la spesa e, puntualmente, mi sentivo gli sguardi della gente addosso, pieni di sentimenti diversi: dalla paura al ribrezzo, dalla pena allo scherno. Ho subito negli anni tanta violenza verbale e se, in qualche modo, riuscivo a sopportare le “innocue” provocazioni dei bambini, diverso era quando a prendermi di mira erano gli adulti. Allora si, mi arrabbiavo molto e soffrivo.

La mia vita è stata tutta così, si può dire che è stata “ferma” per tanti anni. Poi è  arrivato il 1996, la svolta, quando mi diagnosticarono una malattia alla mano sinistra. All’inizio l’ho vissuta come un accanimento del destino crudele nei miei confronti e, invece, col senno del poi, si rivelò una specie di benedizione per me. Infatti, a seguito dell’operazione chirurgica, mi consigliarono di fare sport, in particolare il nuoto, dissero che mi avrebbe fatto bene per la terapia. Nessuno però mi avvisò che dovevo star pronto, perchè mi avrebbe cambiato la vita. Così è stato.

Ricordo ancora le mie prime volte in piscina, ero sempre a bordo vasca con cintura, tubo, avevo paura e non mi spostavo mai dal bordo. Nell’ottobre del 2001 ho fatto le mie prime vasche, senza alcun ausilio. Sei mesi dopo sono riuscito a completare la mia prima vasca intera nei 25 metri di stile libero. Una emozione che mai dimenticherò in tutta la vita.

Da li è partita “la mia rivoluzione”, grazie allo sport che oggi va dal nuoto, al calcio alla corsa con le racchette da neve, grazie alle medaglie vinte, all’allenamento in palestra, alla partecipazione agli eventi. Tutto ciò è la mia vita ritrovata. Oggi affronto ogni attività con la massima serenità, e divido il mio tempo fra la squadra e il volontariato. Special Olympics oggi è la mia famiglia. Oggi sono un atleta.

Se 50 anni fa le persone come me, e come Loretta Claiborne, venivano relegate in casa e uscivano e viaggiavano solo per le visite mediche e gli interventi chirurgici, o al massimo per qualche pellegrinaggio della speranza, oggi non è più così. Oggi noi atleti partiamo anche soli, senza genitori e con la nostra squadra, per partecipare ad eventi importanti, partiamo da protagonisti ci facciamo la valigia da soli e ci mettiamo dentro un sacco di sogni. Al ritorno questa stessa valigia pesa, è piena di medaglie, ma anche di nuove consapevolezze, capacità e autonomie che ci rendono più forti.

Anche i nostri genitori vivono la loro “personale rivoluzione”, se prima erano apprensivi e sempre tristi, oggi ci lasciano andare, sono i primi nostri tifosi.

Il cambiamento che opera Special Olympics è graduale e lento, si scontra ancora oggi con innumerevoli stereotipi e pregiudizi, di primo impatto può sembrare impercettibile traendo in inganno chi non ne percepisce l’urgenza e pensa che “è solo sport”, che “non salva le vite”.

Niente di più sbagliato, la mia vita l’ha salvata, è iniziata con Special Olympics”.

Basta una semplice donazione per aiutare i nostri atleti.

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