Marco Cicolani

È stato molto difficile, molto duro, ammettere di avere un figlio che ha delle difficoltà. Non sai come muoverti, molte volte non ci sono di aiuto le strutture così come le stesse istituzioni, ma ho lottato una vita affinché mio figlio non venisse emarginato. Io e mio marito abbiamo imparato che ognuno di noi può dare molto; diamo fiducia a questi ragazzi che devono avere delle opportunità, devono essere inseriti negli ambienti giusti. Devono, soprattutto, uscire di casa e lo sport è una valvola bellissima, grande”.

Pina e Bruno sono i genitori di Marco, un atleta Special Olympics del Team Filo Onlus, che grazie all’attività sportiva ha scoperto la gioia di potersi esprimere liberamente, senza sentirsi giudicato; una condizione che gli ha permesso, negli anni, di crescere come sportivo ma soprattutto come uomo.

 

Le difficoltà e la diagnosi

 

A tre mesi – racconta la mamma – il latte materno stava diminuendo, pertanto il pediatra mi disse di cominciare lo svezzamento. Gli detti quindi, con il cucchiaino perché non prendeva il biberon, tre quarti di acqua ed un quarto di latte. Al terzo cucchiaino cominciò a vomitare e ad avere febbre altissima. Il nostro pediatra si precipitò a casa, lo visitò e disse: “speriamo di non trovarci di fronte ad una forte allergia alle proteine del latte vaccino”. Solo dopo lo abbiamo scoperto attraverso una risonanza magnetica: quel febbrone alto fece morire qualche neurone, il cervello non lascia segni ma crea qualche problema e le difficoltà di Marco fanno riferimento ad una Disarmonia Evolutiva, questo è stato il termine scientifico utilizzato per descrivere la sua diagnosi. Da lì è cominciato un calvario, le visite dagli specialisti, gli incontri con i grandi luminari. Marco all’epoca aveva circa 5 anni e in cuor mio già sentivo molto prima che qualcosa non procedeva nel verso giusto. Al secondo anno di asilo ci fu una festicciola di carnevale, questa maestra che lo aveva sott’occhio da ottobre, mi chiamò da una parte e mi disse: “Signora io credo che per Marco serva una maestra di sostegno”. Io sprofondai, nonostante come mamma qualcosa avevo già avvertito, d’impeto e quasi come una difesa le risposi: “Ma come una maestra di sostegno all’asilo?” Rimasi senza parole ma perché avevo già qualcosa nel mio cuore, Marco non giocava bene, i lego li rompeva, le macchinette se le metteva sotto i piedi e le schiacciava.

 

La scuola: un percorso tortuoso


In prima elementare – prosegue Pina – chiesi a Marco come si chiamava il suo compagno di banco, gli dicevo: “Perché non lo invitiamo qualche volta a casa?”, l’input era sempre stato quello di farlo socializzare il più possibile, Marco non mi sapeva rispondere, non mi diceva nulla; un giorno fermo la maestra e le chiedo come andava con Marco, se riusciva ad inserirsi nel contesto scolastico, la maestra arrossendo mi disse: “Guardi, io veramente Marco non lo vedo mai perché viene portato fuori dalla classe dall’insegnante di sostegno”. Alcune mamme addirittura evitavano che Marco facesse amicizia con i propri figli, si erano anche andate a lamentare con la maestra in quanto la presenza di un bambino con disabilità danneggiava l’andamento scolastico generale. I nostri figli vivono di fiducia ed io ho sempre cercato di dargliene tanta. Marco già da piccolo mi domandava: “Mamma perché io non faccio le divisioni come gli altri?”, io gli dicevo: “Marco per fortuna oggi esistono le calcolatrici“.
Io ho molto sdrammatizzato con mio figlio così come ho sempre parlato del suo problema, non ci siamo mai nascosti: “Tu Marco questo lo potrai fare, questo no”. Non gli si possono dire bugie, sin da piccolo lui è cresciuto con la consapevolezza di avere una difficoltà. Al di là della sua età anagrafica Marco può essere paragonato ad un adolescente. Ho fatto il mondo, ho lottato una vita affinché mio figlio non venisse emarginato e portato fuori dalla classe, ho sempre detto a me stessa: “A me non interessa se mio figlio sa quando è nato o e morto Garibaldi, ma che abbia un compagno di banco è importante”. Iniziai a portare le insegnanti presso il Centro di Neuropsichiatria Infantile di Via dei Sabelli, a Roma, affinché gli venisse spiegato cosa doveva fare il sostegno, un sostegno all’insegnante di classe.  Poi Marco è venuto fuori con un quoziente intellettivo orale molto forte rispetto a quello intellettivo materiale perché per lui lo scoglio maggiore è rappresentato dalla parte logico matematica, man mano che sono andati avanti gli studi anche lui ha potuto sostenere un esame di stato, sempre con un sostegno però ha comunque imparato tantissime cose.

 

Allenarsi all’autonomia: il lavoro


Siamo poi arrivati ad un Centro  – prosegue Pina – che ci ha permesso di conoscere il Professore Pierluigi Maurizi, una persona di grande umanità oltre che di grande professionalità. Per lui, i ragazzi che seguiva, erano tutti suoi figli. Io qualunque cosa Marco facesse gli inviavo le foto, soprattutto in occasione degli eventi di Special Olympics, di quando vinceva; gli scrivevo: “Guarda il tuo ragazzo cosa è stato in grado di fare”. Ha aiutato Marco a crescere e a cercare di migliorare le sue autonomie. E’ anche grazie a lui, che per primo ha creduto in mio figlio, se oggi Marco si muove in modo autonomo, viaggia per Roma da solo. Marco – prosegue Bruno – lavora nella nostra piccola azienda familiare. Conosco l’impegno che ci mette in tutte le sue cose, lui in magazzino arriva prima di tutti. Fortunatamente ha una bella struttura fisica, non l’ho mai visto stare male, è difficile abbia anche solo un raffreddore. In tutto quello che fa ci mette quella grinta, certe volte mi spaventa. Ha maturato un grande senso di responsabilità, ci mette sempre l’anima in tutto quello che fa.

 

Lo sport che consente di esprimersi


Abbiamo lottato tanto, questi ragazzi – racconta la mamma – hanno delle potenzialità che noi genitori non sappiamo, per noi è stato tanto perché lo sport è riuscito dove la terapia non poteva, nessuna medicina, perché lo ha fatto sentire uguale agli altri.

Quello che può dare lo sport a questi ragazzi è veramente tanto. Bisogna fargli provare tutto quello che possono, tutto quello che riescono. Noi abbiamo capito che Marco attraverso lo sport riusciva a trasmettere emozioni e quindi lo abbiamo seguito fino in capo al mondo. Lo sport gli ha dato tantissimo e gli ha dato la sicurezza in se stesso, si è reso conto che anche lui qualcosa riesce a fare. Marco ha cominciato che non sapeva tenere in mano una racchetta, oggi è bravino, ha le sue medaglie d’oro che gli danno tante soddisfazioni: qualche cosa la vita gli ha riservato di bello. In occasione degli eventi Special Olympics, tutte le volte ci si ritrova nei vari paesi dell’Italia, e si rincontrano gli amici di sempre, sembra che questi ragazzi non si siano mai lasciati; si creano delle amicizie e delle unioni molto forti che restano anche a distanza attraverso messaggi o telefonate.  E lì noi genitori abbiamo una bella rivincita nella vita, vedere un figlio che “combatte”, è commovente, perché pensi: “Questo ragazzo con mille problemi riesce a fare delle cose meravigliose con una racchetta in mano.

Marco – prosegue il papà – diventa un altro, in tutti i sensi.  Lo sport lo esalta, ha esaltato tutte le sue qualità. Si esalta e ti esalta. E’ un piacere vederlo, ti dimentichi di ogni difficoltà, di ogni problema. La prima volta che l’ho visto giocare a tennis è stata una gioia incredibile, perché ho visto compiuto un suo percorso, un suo impegno portato a termine. Anche quando non prende la medaglia d’oro e conquista l’argento, Marco con un grande sorriso mi dice: “Guarda papà che gliel’ho fatta sudare, non è che gliel’ho regalata”, questa cosa mi fa immensamente piacere perché lui vuole vincere, ma sa accettare anche la sconfitta.

 

Consapevolezze e sogni per il futuro

 

Quando Pina mi diceva – conclude il papà – “nostro figlio ha delle difficoltà”, questa cosa mi dava proprio noia. Oggi dico che siamo stati proprio fortunati: il dolore, l’impegno, invece di dividerci ci hanno unito molto di più. Abbiamo affrontato la vita, anche nelle problematiche, sempre insieme, non siamo mai scappati l’uno dall’altro.

Continuiamo a seguire Marco, a gioire delle sue conquiste, a rammaricarci quando non gli va bene, partecipiamo molto, anche emotivamente, a quello che fa. Non dico che non gli manca niente ma siamo contenti, siamo orgogliosi di Marco, per quello che è riuscito a fare nonostante le sue difficoltà. Marco sta vivendo la sua vita pienamente e questo mi rende felice.

Quello che mi sento di consigliare ad un genitore nel momento in cui scopre la difficoltà di un figlio è di lavorare per accettarla ma soprattutto di non scambiare mai il problema vero con il figlio. Il figlio non può mai essere il problema, il rancore che tu senti nei confronti del problema non deve diventare un rancore che tu trasferisci  a lui, perché sennò è la fine, per entrambi. Il problema si affronta, se si può risolvere tu devi mettercela tutta, con Marco ho visto che lui ha acquisito tantissime competenze nel corso della sua vita; Marco non si sapeva allacciare le scarpe, non conosceva l’ora perché la percezione dello spazio temporale era molto vago.

Il sogno più grande è che lui riesca ad avere quella piccola autonomia che lo renda indipendente anche quando non ci saremo noi, per me sarebbe veramente la realizzazione del sogno più grande della mia vita.

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